The Off-Keytchen – The Lady From New York (Kaczynski, 2024)

Quale New York amate, musicalmente parlando? Quella che ospita, di volta in volta, le avanguardie del jazz? O forse quella sotterranea dei Velvet Underground che striscia rumorosamente fino ai Sonic Youth e oltre? Quella del CBGB, che vede succedersi i Ramones, le storture no wave e la furia dell’hardcore che dalla città prende il nome? Quella con le cadenze hip-hop dei Run DMC? Magari quella thrash metal di Nuclear Assault e Anthrax. Mi fermo qui. Ne avrò dimenticate decine, ed ognuno avrà la sua.
Ne avrà forse una anche Niet F-n, ma non so se c’entri con questo disco; perché qui, unitosi al batterista Simone Ginesi nel duo The Off-Keytchen, decide di ricreare una propria New York sonora, portando in dote una valigia di field recording catturati nella città americana durante un recente viaggio. Vengono così alla luce dieci improvvisazioni dove pochi elementi – l’elettronica, le percussioni, il violoncello in un brano – accompagnano le registrazioni effettuate sul campo senza fissarsi in uno stile codificato, ma prestandosi a soluzioni differenti a seconda del momento, che variano anche all’interno della stessa traccia. City Ruins fa dialogare batteria e loop vocali che si alternano al brusio urbano che monta dal fondo. Più sognante e svagata è l’atmosfera che caratterizza Mad Lonlyness e Harlem Afternoon, entrambe impreziosite dal violoncello (suonato dal vivo nella prima, campionato a NYC nella seconda), che poi virano rispettivamente verso storture noise e apoteosi di vibrazioni metalliche. Downtown fa convivere synth cristallini e mesmerici con percussioni secche e a tratti rabbiose, per poi perdersi in vociare urbani e rumori concreti. Il caos, solo a tratti organizzato, la fa da padrone in Subway Crackman, dove i ritmi danno prima ordine a synth fluttuanti, poi propongono danze di difficile esecuzione, infine azzerano ogni altro suono con sregolatezze free, anche se, sul finale, tornano a duellare col rumore in una sfida senza vincitori.
Se i suoni prodotti dai due musicisti si limitassero ad accompagnare i field recording, direi che l’obiettivo è cristallizzare l’attimo, disegnando una sorta di cartolina sonora. Qui il discorso è invece diverso e più complesso: nel momento in cui il campione sonoro è inserito nella struttura musicale, si ridefinisce: il luogo è traslato nello spazio e nel tempo (ci arriva ora e qui), il suono dell’attimo in cui è stato colto è interpretato dall’esecuzione improvvisata e diviene altro, pur conservando, nel profondo, un dato oggettivo. Tutto è in qualche modo amplificato, costruendo narrazioni e restituendoci lo spirito dei luoghi e dei personaggi di una città che esiste in un altrove a cui tutti possiamo accedere.