Marina Allen – Eight Pointed Star (Fire, 2024)

Marina Allen in pochi anni è riuscita a raggiungere lo status di cantautrice faro di un determinato stile cantautorale, dove le forma più levigata si sposa sovente ad una vocalità carezzevole e dove ad apparire in lontananza sono le sagome di una Carole King o di una Karen Dalton. La grandezza di Marina è quella di riuscire a amantenere la sua espressività elegante senza che si senta mai traccia di manierismo o facciata. Certo, i panorami mentali che ci accolgono sono quelli degli Stati Uniti in plenaria, avendoli lei viaggiato in lungo ed in largo, fermandosi al momento in quel di Los Angeles. I brani di Eight Pointed Star sono letteralmente perfetti per essere riprodotti in esterna, una chitarra, un pianoforte ed una piccola batteria, qualche arco, la voce al miele di Marina a menarci letteralmente per il naso. Il sapore di una piccola orchestra ancora in grado di esprimersi senza troppa sovrastruttura. Il lavoro di Chris Cohen, di concerto con Marina in co-produione per quanto riguarda il disco, sembra essere stato quello di evitare che cadenze e brani passassero il guado dell’autoreferenziale e del mortifero, consegnandoci nove tracce baciate da grazia e leggerezza.Alcune di queste, con una grana appena appena piû accennata, di trasformano in bellissimi regali, come una Loves Come Back alla quale tra i cori e la sensazione di una mancia extra in più verso un cantautorato rock. Ma i brani sembrano essere immediatamente dei classici, di quelli che hai masticato per anni interi con famiglia ed amici e che vengono proposti da un’artista che rischia realmente di essere uno snodo classico di intendere la musica ed il suo presente.
Otto punte, come e meno delle frecce nell’arco di Marina, che non sembra mostrare il fianco a critiche o debolezze. Buon gusto, attitudine, la classe.