La lunghezza non è tutto #18

Il giro è quello: Milano, Kobra, Porta d’oro, Stiopa, Goats. I Festa del perdono esordiscono con 13 minuti suddivisi in 5 brani prodotti da La Vide ed un Mus e La Tempesta.
Punka giro ridotti, respiri dub quasi che il basso possa perdere le proprie corde fra un secondo o l’altro, aliti di anni ‘80 che ci soffiano in gola. Non c’è fretta, né enfasi, né rabbia. Corpo di Smeraldo è il brano centrale: impossibile definirlo se non come perfezione indescrivibile.
Trombe e catene ne Il primo freddo, energia che sale e la perenna sensazione di unione nei momenti difficili. I ritmi caraibici del reggae, una strada che è Milano ma che sembra la Coney Island dei guerrieri, uscendone come un Lucio Battisti sotto prozac, lo sguardo assente, marionetta riempita di poesia.

Joanne Robertson e Dean Blunt uniscono le loro energie per Backstage Raver, gioiellino quasi 18 minuti per voce impastata, chitarra e la perenne sensazione di essere giunti all’alba al termine di una serata alla quale avremmo pagato volentieri una sovrattassa per partecipare, con un rallentamento nei riflessi e negli intenti che fa apparire tutto quanto più sexy.
Quando poi a miagolare ci si mette anche Elias Rønenfelt, già in forze agli Ice Age non ce n’è più per nessuno, porta in dote un pochino di tormento facendoci vibrare. Ma è Joanne la dea, voce soffiata, a coronare le produzioni di Dean come se fosse uscita fuori dagli anni ‘60 più bucolici, folk nell’anima, psichedelica nel cuore.

Ludwig Berger, compositore elvetico in movimento fra Zurigo e Milano, fra marzo e maggio ha pubblicato un’ep ed un album. Qui prendiamo in esame il primo, Species Loneliness, pubblicato da
-OUS, riprende le atmosfere eco-horror degli anni ‘70, quei sentimenti umani di paura e diffidenza nel sentirsi sotto attacco dal mondo animale e vegetale. I suoni sono delicatamente elettroacustici, con dei lievi rintocchi misterici ed inquietanti, suoni e brani nei quali ci sente all’inizio di una discesa personale agli inferi, quasi come Michael Shannon in Take Shelter.
Qualcosa non va, non riusciamo ancora a metterlo a fuoco ma teniamo il peggio, mentre questo suono fa crescere l’insicurezza dentro di noi. Una splendida insicurezza, un brivido sottile magicamente indotto.

Con KaBRAmAKasHOWM entriamo in un quarto d’ora dove la musica diventa atto curativo, la Trap di trasforma nel canto di un muezzin e la musica si fa via via acustica, elettronica e trance. L’artista si esprime in una glossolalia nella quale le poche parole intellegibili in inglese si perdono in un mare magnum di spezie e colori, lasciandoci ipnotizzati e ciondolanti di fronte al risultato.

L’appuntamento chiaro/scuro di questo mese è con Artjom Schmidt. La variante luminosa è una vasca colma d’acqua dalla quale escono rintocchi e sulla cui superficie la luce potrebbe rifrangersi e schizzare via. Nel lato oscuro invece è una ritmica con sottofondo ronzante a prendere il sopravvento, sulla quale si innestano beats in crescendo per una suite minimale trascinante.

Whole Lotta Shakin’ dei NEGATIVES non è una novità ma un ripescaggio della venerata Iron Lung Records che scova 4 brani stupefacenti dalla fine ‘70 od inizio ‘80. Non ci è dato sapere di più di questa accolita, se non che suonarono al Max’s Kansas City, al CBGB e così via, e sono autori di un 7” imperdibile, con suoni feroci e veloci come mulinelli in un proto-punk che non vi toglierete dalla pelle così facilmente e che vi farà riconsiderare qualche mappa dei migliori losers della storia!