Fera – Psiche Liberata (Maple Death, 2024)

Andrea de Franco, aka Fera, da anni pasce nel mare magnum di certo suono sperimentale italico. Un suono che si compone di diversi fiumi, da sentori minimalistici, da certa musica techno, distese ambientali e guizzi noise, uno scibile nel quale è necessario sapersi muoverse a dovere per non esserne ingoiati. Dopo i tre precedenti lavori, Stupidamutaforma, Fragile Fragile Fragile, Corpo senza carne e Catastrofe Ultravioletta (tutti stampati su nastro, rispettivamente per Maple Death e Ricerca Sonora) torna oggi con Psiche Liberata, primo passo su formato vinilico.
La musica di Fera è un viaggio aperto e personale, che innesta su voli che ormai da tempo passano sulla penisola, conditi da quel dub, da quell’umidità che fortemente caratterizza certa scena (l’ideale lontano, esotico, come lo definisce Nico Pasquini aka Stromboli) virandoli però con una fisicità trance in un ipotesi da rave più che cerimoniale. Questo elemento pare centrale nella ricerca di Fera ed avvicina quanto espresso anche ad un limbo noise ed elettronico che non è troppo lontano. O si immagina quasi, maestro di cerimonia in un hangar a guidare una massa informe di corpi sudati. Questo fattore accende sinapsi e collegamenti reconditi verso un mondo che per molti è stato passaggio obbligato, amato ed odiato, fortemente caratterizzante di un certo periodo di crescita. In Psiche Liberata questa crescita è esposta come ferita aperta, carnaio dove i generi non si mischiano in qualcosa di nuovo ma si accostano comunicando giusto nell’ottica si una futua mutazione.
Fiati che non saprei come definire se non come animisti corredano Milk Tears in the Hug Chambers, dove Laura Agnusdei e Luigi Monteanni aprono altre porte, su altre scene ed altri mondi. Ipotesi dub sacrali come Simulacrima, mantici come respiri, come polmoni in Ventra, dove si percepiscono tassi d’umidità da post-rituale, o forse da post-amplesso. C’è un sentimento di pace, forse dettato dalla liberazione psichica che titola l’album, esorcizzata nella sferzata di Diluvia, come un’energia liberata a contatto con gli ineluttabili elementi della natura, senza mai smettere di ballare.
Fera ci serve un lavoro assolutamente personale ribadendo la sua connessione e la sua relazione con un suono presente, lasciandoci spazi di riflessione e di analisi mentre Riposa, la sua ultima traccia, si espande su tutta la superficie ancora libera: tenue, sibillina e con l’inquietante sensazione di essere tornati a casa senza che nulla sia ancora terminato.
Psiche liberata? Non saprei, di certo nutrita e stimolata a dovere.